Carlo Franza:  Maineri, uno scultore dotto

Una grande passione romantica agita tutta la produzione scultorea di Angelo Maineri che fu già allievo a Brera di Giancarlo Marchese.

Terrecotte e bronzi portano impresso un senso dolorante, rotto dalla tragica e vana ribellione della materia, da rare pause di concretezza, di serenità. S’apre una sinfonia grandiosa, sebbene alquanto disordinata nel movimento, sempre sorretta punto per punto da una tenace aderenza ai casi della vita.

Uno svolgimento simultaneo che in alcuni casi risente di una forte presenza rodiniana, di grande civiltà, per via di uno svolgimento e di un acquisto progressivo di consapevolezza e maturità, un irrobustirsi nel lieto avvenire con fede candida e totale, un arricchirsi dell’umanità che tocca le cose della vita individuale e le chiama alla via della poesia. Perché tutto è poesia in questo suo fare scultura, in questo anelito infinito, dove la “bellezza” è rapita nella gioia, nell’essenziale, nella natura.

Ed è ciò la caratteristica maggiore di questo suo fare scultura con un sentimento romantico della natura.

La materia che è parte della natura, viene dal Maineri sentita, strettamente vicina, in fraterna unione, e quindi a motivo dell’insofferenza dell’uomo, e dentro di primigenia libertà.

Uno scultore dotto il Maineri, e umanista che porta nel suo lavoro una freschezza di energia e una spiccata attenzione alle mitologie, alle leggende popolari, al mistico, al religioso e al pagano; all’elemento naturale, alla figura colta nella sua plastica irradiazione; alleggerita di quel tanto di primordiale che ne offre modelli di forma classica e composta.

I toni si avviano nel profondo, nascono da un istinto di verità, ma anche accarezzate dalla fantasia e ci informano di eroi, di pastorali, di efebi, di lotte, di lotte, di uomini e donne, di sepolcri.

La traccia del plastico, del modellato, si libera aggraziandosi, senza avviarsi in cadenze retoriche , risolvendosi invece in un presentimento di corpi vibranti, dove l’immagine ne esce totale e celebrata per antica carica. Quando poi le figure vengono modellate per via del togliere nei bassorilievi, come in “risveglio”, un marmo dell’84, allora l’ingorgo dei corpi porta una vibrazione e apre l’anima al soffio ristoratore della passione.

Certe scultore aventi come soggetti il torso, od opere come il Caronte” dell’85, svelano una grande melanconia, una lacerante accumulazione di dolore, della materia che i apre al destino beffardo e perseguitato.

I disegni a carboncino, le chine e le tecniche miste, vivono in un segno ideale che racchiude l’energia nella sua virilità o fermezza, io nel carattere femminino, o nelle virtù d’animo, o nell’eroica e mordente sicurezza.

Resta infine da dire che il lavoro del giovane Maineri poggia su basi sicure, il materiale data una biografia coscienziosa, una tentazione affascinante di fare scultura nel nuovo sull’antico modo dell’ordine, della misura e delle leggi.

Il tempo ci dirà se la sincera e nobile intenzione di Maineri muove sulla linea della grande scultura che fu anche di Wildt, di martini e di Manzù.

 

Milano, marzo 1990